A PROPOSITO DEL CAFFE’. L’INFUSO DI PROSPERO, UN VIAGGIATORE DI GUSTO

Marostica, la città murata, la “città degli scacchi” che al “nobil ziogo” ha dedicato addirittura la sua piazza principale, complice anche l’Accademia Italiana della Cucina, ha riscoperto il gusto del caffè. Al marosticense Prospero Alpini, infatti, gli studiosi conferiscono il merito di aver portato in Europa la pianta del caffè e i chicchi tostati. E su questa premessa la città scaligera ha dato vita ad una manifestazione dedicata al celebre concittadino e alla cultura del caffè proponendo un programma intenso e ricco di spunti.
Gli Accademici, persone di gusto, anzi, meglio, di buon gusto, intellettuali della convivialità, non potevano mancare all’appuntamento, ad un incontro così stimolante e raffinato, in cui si parla del caffè, delle sue qualità e delle sue risorse. L’esercizio del gusto, che dobbiamo sollecitare, la definizione del nostro gusto personale, che dobbiamo coltivare, impongono nuove attenzioni all’infuso di Prospero.
Se è vero che un “bel mangiare”, in Italia, non si può concludere senza frutta o dessert, e naturalmente, senza un buon caffè, occorre conoscere e capire qualche cosa di più dello stimolante effetto che tale bevanda produce.
Il caffè, la bevanda arabica cara agli uomini di preghiera, che la consumavano per restare svegli, si era diffuso a Venezia, e nei grandi empori mediterranei, a partire dal secolo XVIII, quando da lusso patrizio divenne nel tempo (anche grazie al lavoro degli emigrati italiani e veneti in Brasile – come ricorda il prof. Ulderico Bernardi – chiamati a sostituire gli schiavi liberati), accessibile a tutti. 

Secondo gli esperti di biochimica il caffè non contribuirebbe a far digerire, anzi fa elevare il livello di acidità già esistente.
Per il suo contenuto di caffeina impartisce una piccola spinta al sistema nervoso e pertanto, pur non contribuendo all’accelerazione del processo digestivo, migliora lo stato generale, copre i sintomi di disagio e di torpore tipici di una pesante digestione. Alzarsi soddisfatti, ma non intontiti, è quello che cerchiamo, dunque, quando ci sediamo a tavola. Ecco perché insistiamo per un buon caffè alla fine del pasto. Una funzione sicuramente positiva. La storia stessa fa del caffè una “bevanda sorgente di estasi” (che rianimò… perfino Maometto), in grado di trasportare lo spirito fino alle sfere celesti. Un po’ tutte le arti hanno preso a considerare gli effetti benefici del caffè, a descriverne le suggestioni, a sottolineare le emozioni, a raccontarlo ed evocarne i benefici, attribuendo il suo nome pure al luogo della convivialità non solo delle idee. Basterebbe evocare Cézanne,  Monet o Remoir per cogliere con quale  nonchalonche si attribuisca a questa bevanda proveniente da Paesi asiatici e africani, centro e sudamericani, origine e solleticazione di indicibili delizie.

La pianta e la bevanda del caffè in Dufour Philippe Sylvestre, Tractatus novi de potu caphe,de chinensiumthe,et de chocolata, Parisiis: apud Petrum Muguet, 1685

Dietologi, nutrizionisti, fisiologi non hanno mancato e non mancano di precisare l’attività terapeutica del caffè, naturalmente purché non se ne faccia abuso.
Spinto e attivato anche da noi, il Centro Studi dell’Accademia sta raccogliendo la più vasta bibliografia possibile sul caffè.
In verità la maggior parte di questi studi e ricerche fanno capo alle aziende produttrici di caffè e di macchine per il caffè, impegnate ad esaltarne piaceri e segreti. Vi si raccolgono e descrivono tradizioni di preparazione, tecniche di assaggio, si fa cenno diffuso ad aromi e profumi della mitica bevanda, vi si stendono guide alla torrefazione, per concludere con molteplici ricette di cocktail e pasticceria.
C’è, naturalmente, da sbizzarrirsi, in tutto ciò, a partire dall’essere accompagnati all’esame visivo della crema di caffè, a quello olfattivo, una volta “spezzata” la cortina di crema per farne uscire e sprigionare gli aromi.

Vi si insegna l’impiego del gusto, nel sorseggiare la bevanda. E come anche il tatto possa essere messo in uso per valutare la corposità dell’espresso, la sua densità un po’ pastosa.
Il caffè dunque come bevanda, ma potremmo intenderlo ancora come ingrediente, assieme a latte, panna, cacao, liquori, per ricavarne non solo gelati e dolci, ricchi di gusto e di aromi, ma anche confetteria e cioccolateria. Potremmo parlare a lungo dei diversi modi di preparare ed offrire un caffè. Catturati dall’emozione, potremo declamare, con il saggio Hadijbrun di Medina:

O uomini che avete una mente sana bevete il caffè e non curatevi dei calunniatori che lo denigrano con sfacciate menzogne.
Bevetelo, prendetene generosamente perché nel suo aroma si dileguano le preoccupazioni e il suo fuoco incenerisce
i torbidi pensieri della vita quotidiana.

Potremmo anche sfidare le fantasie più ardite e sfogliare pagine e pagine di ricette. Tra divinazione e caffeomanzia (c’è chi legge il futuro in una sfera di cristallo ma anche chi analizza i fondi di caffè), noi vogliamo menzionare l’attenzione crescente
che la cucina assegna a questo prodotto della terra.
Un menù tipo? Provate a seguirmi nell’abbuffata con un tortino di cannocchie e carciofi su salsa al caffè, con tagliatelle al caffè e pollastrello selvatico, con un torresano al forno nel suo ristretto al caffè e chenelles di polenta, ovviamente a finire con un tiramisù e pralineria rigorosamente al caffè, imbevuta di grappe e distillati veneti. Ci può bastare, finalmente, per una pausa-caffè, un caffè… in tazza, questa bevanda della libertà, questo balsamo per animi illustri a cui Johann Sebastian Bach ha dedicato addirittura una sinfonia, la “Cantata del caffè”. Da sorbire, come suggerisce un antico proverbio arabo: caldo come l’inferno, nero come l’inchiostro, dolce come l’amore. Buon caffè, a tutti!

GIANDOMENICO CORTESE

Accademia della Cucina Italiana Delegazione di Vicenza