L’ARTISTA E LO SCIENZIATO: LEANDRO DAL PONTE RITRAE PROSPERO ALPINI

L ’identità del soggeto, Prospero Alpini, e quella del pittore, Leandro Dal Ponte detto Bassano, sono stabilite da una scritta sul retro della tela, resa nota nel 1732 dal celebre anatomista Giovanni Battista Morgagni (1682-1771).
Tra l’Alpini e il pittore Leandro Bassano (1557-1622) che lo ritrasse, esisteva un rapporto amichevole, favorito dalla vicinanza dei luoghi natii e dal fatto che essi erano coetanei.
Il Ridolfi (1648) nella biografia di Leandro non nomina il ritratto, che fu rintracciato nel 1732 dal Morgagni, docente di anatomia presso lo Studio patavino. Egli nel 1732 aveva avuto la richiesta da parte di Girolamo Davide Gaub, medico e docente di chimica a Leida, di procurare un’effigie di Prospero Alpini con cui corredare la nuova edizione da lui curata del De praesagienda vita etmorte aegrotantium. Nelle due lettere dell’ottobre 1732 (pubblicate nel 1763 cfr. J.B. Morgagni, De Prospero Alpino epistolae duae, in Opuscola miscellanea, II, Venetiis 1763, pp. 7-8) in risposta al collega, il Morgagni riferisce sul ritrovamento del quadro che mancava nella sua ricca galleria di ritratti di illustri anatomisti e medici dell’Università patavina.
Infruttuosa era stata la ricerca di un’immagine incisa in libri biografici come gli Elogia virorum illustrium (1630) di Giacomo Filippo Tomasini e il Theatrum virorum eruditiones clarorum (1688) del Frelber: solo in una tarda edizione (1644) del Tomasini l’Alpini veniva effigiato in età senile.
Dopo accurate indagini condotte anche nelle città vicine per mezzo di amici, il Morgagni rintracciò a Padova presso uno scultore, non meglio precisato, il quadro. Ne fece subito eseguire dal pittore e incisore padovano Giambattista Cromer (1667-1750) – all’opera del quale era già ricorso per illustrare gli Adversaria anatomica – una fedele riproduzione, che inviò al Gaub e che servì, incisa da Reynier Blokhuysen, per l’edizione del De praesagienda uscita nel 1733 a Leida per i tipi di Isacco Severini.

Leandro Dal Ponte, ritratto di Prospero Alpini, olio su tela, 1586, Staatsgalerie, Stoccarda (Germania)

Questa incisione fu il modello anche per i ritratti premessi alle ristampe remondiniane (che portano le date 1735, 1737, 1751, 1774) dell’edizione leidense, dovuti a modesti incisori che di volta in volta ritoccarono l’immagine deformando le originali sembianze del personaggio. Il Gaub nella prefazione del libro riporta anche la scritta letta dal Morgagni sul retro della tela: AN. A VIRGINIS PARTU MDLXXXVI. / MEN. FEBRUARIO / LEANDER BASSANUS PROSPERI [Sic] ALPINO MEDICO QUUM STATIM I EX AEGYPTO BASSANUM / VENERIT GRATO ANIMO / EFFIGEM ITA EGREGIE / CALIDAM OB AMICITIAM / PINXIT / AN. SUAE AETATIS / XXXI.
Come sappiamo dalla prima delle De Prospero Alpino epistolae duae (1° ottobre 1732), nell’iscrizione era registrata l’età di “XXXXI” anni, in discordanza con l’aspetto giovanile dell’effigiato. Il Morgagni, attribuendo l’incongruenza a una manomissione, fece cancellare una “X” portando a trentuno gli anni dell’ Alpini. Della scritta non rimane più traccia nel dipinto, che fu reintelato probabilmente nel primo Ottocento. Secondo B. Gamba (1807), esso entrò a far parte della galleria morgagnana di ritratti, ma se così fosse non si spiega come non ne abbia seguito la sorte: infatti non figura nella collezione che alla morte del Morgagni passò all’Università di Padova, dove ora è esposta nella Sala della Facoltà di Medicina. Esso ricompare nella pinacoteca Barbini-Breganze dove l’effigiato era ritenuto Tommaso da Ravenna (Zanotto 1847). Ceduto nel 1852 alla Staatsgalerie di Stoccarda, ha subito qualche decennio fa una pulitura che ne ha migliorato le condizioni formali e cromatiche, come si può vedere dal confronto con le foto anteriori a questo intervento: ne ha guadagnato soprattutto il volto, diventato più luminoso anche perché la barba che era stata allungata, alterando l’aspetto dell’Alpini, è stata riportata alle dimensioni che vediamo nell’incisione del Blokhuysen del 1732. La storia del quadro è stata ricostruita da Antonio Gamba (1984) che ha approfondito nel 1995, insieme con Giuseppe Ongaro, lo studio sull’iconografia di Prospero Alpini. Il Gamba per primo ha cercato di analizzare
il significato dell’iscrizione, che suona come una dedica, sul retro della tela giungendo alla conclusione che il ritratto fu dipinto quando l’Alpini, che aveva appena compiuto trentun anni, si era recato a Bassano subito dopo essere rientrato dall’Egitto, verso la fine del novembre 1584. La data del febbraio 1586, accettata finora come quella dell’esecuzione, va quindi riferita al momento in cui Leandro calidam ob amicitiam ne fece dono all’Alpini, allorché questi esercitava la libera professione a Bassano e nel Bassanese, forse in segno di riconoscenza: “grato animo”, per le cure prestate alla famiglia. Nel De medicina Aegyptiorum (1591, III, p. 82 rv) l’Alpini ricorda di aver curato, con trattamenti simili a quelli egiziani, una donna di nome Bona «[…] quae apud Bassanos Famosissimos pictores habitabat […]» e nel De medicina methodica (1611, X, x. p. 338) si dimostra bene informato della sindrome maniaco-depressiva che nel 1592 portò al suicidio di Francesco Dal Ponte: «[…] Franciscus. à Ponte olim pictor excellentissimus […]». In base all’interpretazione di A. Gamba e G. Ongaro, il dipinto viene avvicinato cronologicamente ai ritratti eseguiti da Andrea Frigerio del 1581 (ora al Museo civico di Padova), ancora d’ispirazione tintorettesca, e dai Cristoforo Compostella del 1582 (da poco entrato al Museo civico di Bassano), dove si legge
un ricordo tizianesco. Ma il Prospero Alpini dimostra che nel breve giro di due anni Leandro si è allontanato dal ritrattismo tardomanieristico veneziano coevo e sembra guardare ad esempi d’oltreappennino «[…]senza negare, almeno nell’impostazione,
una certa affinità con l’opera del Moroni […]» (Arslan 1960, p. 238).
C’è qui già una grande capacità di fissare oggettivamente la fisionomia e il carattere del personaggio, ambientato nella sua concreta realtà.

Raffigurato su di uno sfondo neutro scuro, in una positura quasi frontale, in piedi al di là del tavolo di studio, la mano destra sulla sfera armillare e la sinistra accostata al fascicolo che reca un’iscrizione, l’Alpini rivolge verso lo spettatore lo sguardo pensoso, ma non distaccato. Il volto roseo è incorniciato dall’attaccatura dei capelli e della barba curata, che spicca sul colletto bianco reso, come i bordi delle maniche, con tocchi minuziosi. La fine modulazione della luce sulle nobili fattezze, l’eleganza del portamento senza traccia di retorica, la sobrietà dell’impianto e del colore fanno del Prospero Alpini un capolavoro della ritrattistica giovanile di Leandro. L’impegno descrittivo e l’attenzione ai dettagli disegnativi, come nelle belle mani e negli oggetti sopra il tavolo, rivelano una sensibilità nuova, maturata nel pittore sotto l’influsso di Paolo Fiammingo, la quale si manifesterà pienamente nel ciclo dei Mesi (la gran parte conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna e due nella galleria del Castello di Praga). Il Morgagni coglie bene l’essenza di questo ritratto eseguito «[…] ad vivum tanta quidern arte et elegantia quanta summa Artifici, summaque Amica summi VIri imaginem posteris relicturo canveniebat […]» (cfr. la lettera del prima ottobre 1732 al Gaub). Il giovane Alpini è connotato con gli emblemi dell’uomo di scienza, status conseguito con gli importanti studi e le esperienze acquisite nel viaggio in Egitto. La sfera armillare sopra il tavolo ci ricorda che, al tempo dell’Alpini, la medicina era ancora soggetta all’astrologia, la quale portava a cercare la causa della malattia e i principi della terapia più nelle configurazioni celesti che nella realtà del corpo umano. Ancora nel Cinquecento, era una caratteristica diffusa nella cultura accademica – e in particolare nello Studio patavino – la presenza nella stessa persona di competenze mediche e astrologiche. Non è più leggibile – tranne la parola “Alpini” – l’iscrizione sul fascicolo accanto alla mano sinistra, probabilmente un messaggio rivolto all’osservatore.

I libri posati sul tavola dichiarano l’attività di trattatista cui l’Alpini già attendeva. Poiché le vicende conservative del quadro non sono ancora state ricostruite, non sappiamo se le scritte sul dorso dei volumi si devono ad aggiunte posteriori, come sospetta anche il Morgagni. I titoli De medicina Aegyptiorum e De plantis Aegypti (che saranno, come si è visto, pubblicate rispettivamente nel 1591 e nel 1592) sono troppo precisi per essere coevi al dipinto. Essi sona parzialmente diversi da quelli, più sommari, che si vedono nel ritratto inciso dal Blokhuysen nell’antiporta dell’edizione leidense (1733) del De praesagienda vita et morte aegrotantiun; De medicina Aegyptior e Et exoticis, quasi a indicare un’unica opera mentre si tratta di due; la seconda, come si è visto, uscita postuma nel 1627, anch’essa tuttavia elaborazione di ma-
teriale scientifico raccolto dall’autore durante il viaggio in Egitto e nelle soste forzate nelle isole greche, principalmente a Creta.

LIVIA ALBERTON
VINCO DA SESSO

Immagine tratta da: Prospero Alpini, Historiae Aegyptiorum, 1735